Ho letto il libro di L. Centenaro e S. Zanella, Personal Branding per l’azienda, durante il coronavirus. Ecco ciò che penso sul social recruiting e come adeguarsi a questa nuova pratica di ricerca.
Da anni si sente parlare di Social Recruiting ma in quanti sono preparati a questo sistema di reclutamento da parte dei responsabili HR?
Da una ricerca di Adecco, il 32% dei selezionatori dichiara di porre domande ai candidati sulla loro presenza sui social media; mentre il 28% ha scartato almeno una persona a causa di contenuti pubblicati online.
Effettuando una ricerca su LinkedIn balzano all’occhio una serie di numeri molti interessanti. Il numero degli utenti attivi con sede a Milano, rispetto a tutte le altre città italiane. In scia solo Roma, mentre un pò più distanti sono i poli industriali di Bologna, Padova e Torino. Il resto è molto distante. Ma il problema non è solo per l’utenza, ma anche le aziende. Soprattutto le aziende.
Nello specifico, la città di Milano copre oltre il 50% (ad essere ottimisti) delle aziende attive, con pagina, vetrina, e tutte le sezioni complete (più o meno correttamente).
Se diamo uno sguardo altrove, invece, si può notare un scemare significativo della presenza sul social professionale. Anzi di una non presenza (o assenza).
Da ciò è chiaro quanto sia cruciale il ruolo di Milano, senza ombra di dubbio il centro economico, finanziario e tecnologico del nostro Paese e crocevia di affari internazionali. Mentre il resto d’Italia sembra distante non solo sotto l’aspetto numerico ma anche operativo ed organizzativo. Siamo rimasti in una fase di stallo, senza un minimo di progettualità.
Non è solo una questione politica, ma anche un modus operandi superato. La forza di Milano è proprio la visione internazionale che hanno le aziende e le persone che vivono quella realtà. Nel mondo innovativo, il confronto avviene sempre più sul web e sui servizi digitali. Conoscerli e saperli utilizzare per la propria attività imprenditoriale è, in questo momento, una caratteristica imprescindibile per la sopravvivenza.
In questo scenario, i dati della ricerca svolta da Adecco, non c’è da stupirsi se alcune zone offrono più soluzioni in ambito di occupazione rispetto a molte altre.
Il sottoscritto è un meridionale che si è trasferito nel 2010 nel triveneto in cerca di una propria dimensione professionale e molti come me hanno fatto questa scelta. E’ vero che nel meridione c’è poco lavoro, ma è altrettanto vero che moltissime aziende lavorano ancora con metodi non allineati col mercato, senza programmazione (troppo alla giornata e poi basta un niente per farle saltare) e con figure professionali non adeguate e non perché non ci sono i professionisti, ma perché il lavoro viene sottopagato.
Detto questo, mettiamo il caso che il problema del lavoro in Italia sia così distinto: 50% Stato Italiano con politiche non adeguate allo sviluppo; 30% delle aziende italiane PMI che svolgono le loro attività senza programmazione alcuna; rimane comunque un 20% che non si è adeguato al mercato e si propongono alla ricerca di un’occupazione senza una reale strategia.
Non paga il tutto-fare, ma la specializzazione!
Con questa formula, del tutto-fare si hanno sicuramente molte chances di inserimento in fase iniziale, ma senza specializzazione non è indispensabili e quindi si diventa facilmente sostituibili. Oggi la forza lavoro costa e molto, il tempo per la formazione è una voce importante all’interno di un bilancio aziendale. Per un’azienda cambiare un dipendente è un costo che si aggiunge alla lunga lista già esistente.
Fare Personal Branding significa gestire in maniera strategica la propria immagine professionale. Gestire la propria immagine professionale, a sua volta, significa identificarla, svilupparla, mantenerla e monitorarla. Quindi, il Personal Branding serve ad attirare opportunità, di qualsiasi natura.
Personal branding per l’azienda, di Centenaro e Zanella
Differenze tra personal branding e web reputation
Il Personal Branding è quindi la strategia con cui l’individuo, il professionista, il lavoratore e l’azienda (pubblica e privata) si guadagnano la buona reputazione, cioè il riconoscimento della propria professionalità e dei propri valori sul web e sui social media.
Fare Personal Branding, quindi, significa creare una promessa di valore, cioè un insieme dei benefici che il pubblico si aspetta avendo a che fare con un professionista.
La web reputation, o più semplicemente la reputazione, invece riguarda il nostro ruolo rispetto alla società, all’azienda, al team o al settore di appartenenza. Avere una buona reputazione significa essere considerate delle “brave” persone e quindi condividere con un certo contesto valori umani e professionali.
Personal branding per l’azienda, di Centenaro e Zanella
L’una è la logica conseguenza dell’altra, nel bene o nel male.
Il social recruiting
Sempre dal libro di Centenaro e Zanella, i recruiter che lavorano per grandi aziende attribuiscono sempre maggior valore alla selezione attraverso i social media.
E’ il 35% dei selezionatori che lavorano per grandi aziende a chiedere informazioni sui comportamenti online dei candidati. i selezionatori delle grandi corporation investono sempre più tempo sui social media. Quanto influiscono i social nella scelta di un candidato da parte di un’impresa? I motivi di esclusione possono essere: la presenza di informazioni contraddittorie rispetto al CV, una valutazione negativa della personalità e la pubblicazione di immagini improprie o inopportune. Mentre le opinioni politiche espresse si rilevano irrilevanti per i selezionatori.
Personal branding per l’azienda, di Centenaro e Zanella
Di conseguenza, così come noi effettuiamo una ricerca su Google su una certa azienda, negozio o ristorante, così dall’altro lato ci cercano per reperire informazioni sui propri candidati, quindi su di noi.
E’ necessario, quindi, verificare all’interno della ricerca Google il nostro status, il nostro Google CV!
Facebook, Instagram, Twitter, Pinterest, LinkedIn sono tutte finestre sulla nostra persona. oscurare alcuni dati può essere controproducente, soprattutto per chi è ancora alla ricerca di una sua “posizione” professionale, all’affermazione lavorativa.
Per approfondimenti: Digital Reputation e Social Recruiting, Adecco
Quali dati lasciare sul web?
Considerando che i nostri dati sono già presenti nelle banche dati di tutto il mondo (vedasi i consensi lasciati agli operatori di telefonia, luce e gas, in banca o in posta, il registro delle imprese della Camera di Commercio, alle TV a pagamento, ad Amazon e ai servizi di posta elettronica, oscurare è qualche informazione sui social media non ci mette al sicuro.
Personalmente ho fatto una scelta alcuni mesi fa, che poi ho riscontrato anche in altri professionisti, una mail di contatto generica e personale (nel mio caso info@enzoservillo.it) così chi ha bisogno di contattarmi in qualche modo sà come fare. In questo modo resto reperibile, ma decido io i tempi di risposta: prendo il tempo di effettuare una ricerca, capire di cosa si tratta e, nel caso, rispondere o bloccare la persona.
Sono presente sui social media più frequenti e li uso, chi più chi meno, ma soprattutto sono attivo su LinkedIn, dove scrivo e condivido posti, creo relazioni professionali e scambi di opinione in chat. Mi connetto alle aziende di mio interesse e ci dialogo quando possibile.
Ma ho aperto anche un sito personale e questo articolo lo leggi dall’area dedicata al blog interno allo stesso, così da fornire informazioni controllate ed autentiche. Non sottovalutiamo anche gli eventuali casi di omonimia!